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"Avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. 

Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Non porsi limiti di tempo"

don lorenzo milani

IL MIO PRIMO BIGLIETTO DA VISITA non esiste più

Adesso ci si scambia il numero di telefono, e poi ci si messaggia su Whatsapp. Al limite ce la si cava con la formula "la faccio contattare in settimana dalla mia segreteria", o ci si cerca su Linkedin. C'era un tempo, non così lontano da questo, in cui ci si faceva annunciare da un biglietto, o lo si lasciava congedandosi da una colazione di lavoro proficua, foriera di reciproci vantaggi, comunque cortese. C'erano delle regole di sofisticato bon ton nella stessa sua realizzazione, e nel suo utilizzo: non lo si dava a tutti: era un privilegio riceverlo, era un privilegio ancor maggior poterlo porgere. Non era un volantino pubblicitario né una marketta commerciale.

Oggi che volantiniamo leaftlet pubblicitari, gadget elettorali, address e business card (vi prego, fustigate sulle natiche coloro che dicono "cards", come "films", "opendays" et similia, che i prestiti integrali sono invariabili!), il biglietto da visita (o "di visita", come in un libro del 1911 di Bertarelli e Prior) fa antico.

Ho frugato nel cassetto della scrivania alla ricerca del mio primo, e l'ho fatto con una certa tristezza: ha infatti dichiarato fallimento lo scorso mese di ottobre la Casa Editrice che faceva compagnia al mio nome su quel biglietto. O viceversa, forse.

Se il mio può anche essere un nome qualsiasi, non così quello della prima casa editrice italiana, fondata nel 1791 e madre di alcune delle pietre miliari che hanno costruito la cultura italiana. Cose antiche, di quando le ricerche si facevano sull'enciclopedia, non sul web, di quando dietro ogni singolo lemma c'era una redazione di esperti che vagliava informazioni e fonti e compilava la definizione con un uso saggio ed elegante della lingua.


Fa bella mostra di sé nella parete dietro la mia scrivania il "Tommaseo Bellini", uno di questi monumenti antichi, che congedandomi da quell'impiego avevo chiesto di poter portare con me come piccola quota di liquidazione. Era come mantenere un contatto fisico, simbolico, con quello che era stato il mio primo lavoro e non un lavoro qualunque.

Sono andato a sfogliarne oggi i volumi antichi, pesanti, con la copertina di pelle screpolata.

La grande compilazione lessicografica curata da Tommaseo è divenuta poi la base per il più voluminoso e diffuso "Battaglia", e poi per il "GRADIT", curato da Tullio De Mauro. Ma chiunque cammina più spedito quando la strada è aperta, e la strada l'hanno aperta le pagine di questi volumoni, che oggi sfoglio con rispetto quasi sacrale.

I suoi lemmi si trovano tutti indicizzati sul web qui: http://www.tommaseobellini.it/#/, per chi voglia. Ma averli dietro le spalle, che mi guardano muti mentre io, piccolo scrittore, batto con le dita sul pc le mie storie, mi fa sentire davvero un nano sopra le spalle di giganti.

Guardo con la stessa vertigine il mio primo biglietto da visita e mi rendo conto di quanta gratitudine sia dovuta a chi per primo ti dà fiducia, quando sei giovane, e così facendo intuisce di te più di quanto tu non sappia di te stesso. E ti instrada, anche.

E io so che l'insegnante e lo scrittore ha avuto come madrina la prima casa editrice italiana, la vecchia vecchissima UTET - Grandi Opere, che adesso ha fatto il suo tempo.

Ma prima ha fatto la storia, e non è da tutti.





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