Tutti i padri mentono.
Non sto parlando dei mariti fedifraghi, dei rampanti millantatori, degli sportivi incoscienti che dicono: “Non ti preoccupare: vado solo a fare una passeggiata da pensionati” e poi li trovi incrodati su una parete di sesto grado.
Tutti i padri mentono, la notte del 24 dicembre. E si organizzano, perché le bugie hanno una loro precipua e ferrea logica. Lo sa bene chi si infila, per qualche ragione inconfessabile, in questo gioco di specchi e poi deve tener botta, lottando contro lacune e incoerenze che farebbero crollare in un attimo il castello costruito sul nulla. Tutti i padri si organizzano, la notte del 24, per essere gli ultimi ad andare a letto, dopo aver recuperato dagli anfratti più reconditi della casa i pacchi regalo finora tenuti lontani dagli occhi dei figli, e metterli sotto l’albero. O puntano la sveglia a orari antelucani, anche se non hanno un aereo da prendere, per scendere per primi e allestire l’ambaradan natalizio, e sbocconcellare i biscotti, e bere il latte lasciati dai bambini per rifocillare il misterioso e indaffarato visitatore notturno.
Tutti i padri scrivono. Ci sono le letterine a Gesù Bambino dei figli a cui rispondere. E lì viene il difficile, perché il gioco è una cosa seria, e un padre lo sa che non può scrivere con la sua solita grafia, angolosa come il suo carattere. Non può nemmeno usare la sua solita stilografica a inchiostro rigorosamente blu, perché un padre non ha segreti per i suoi figli. Tutti i padri la sera del 24 ripescano dal fondo della memoria le aste e le volute del corsivo imparato alle elementari, e con gli occhiali sul naso imitano la grafia di quello che dovrebbe essere Gesù Bambino.
Tutti i padri, quando erano giovani, hanno artefatto qualche firma sulle verifiche o sul libretto delle giustificazioni, ma sebbene l’azzardo fosse ardito, la mano allora era più ferma. E non è l’età, adesso, a frenarli. Né l’ora tarda, né il garbuglio del corsivo “come un tratto unico, senza staccare la penna dal foglio”, ché come un istinto sepolto da lungo tempo ma mai scomparso, il ductus riemerge, basta lasciar andare le dita. È la lotta sorridente tra la verità illuministica dei regali acquistati con la carta di credito e l’illusione luminosa nella fantasia dei loro figli.
Tutti i padri si commuovono, quando devono trovare le parole per rispondere ai loro figli che hanno chiesto doni semplici e promesso che faranno i bravi, e chiesto scusa per i loro piccoli errori. E sanno di non dover essere sdolcinati, sul foglio, perché Gesù Bambino deve parlare una lingua uguale a quella dei loro figli, bambino discolo lui pure. E sanno di non dover essere retorici, pletorici, paternalistici.
Tutti i padri sono dei ghostwriter.
Tutti i padri hanno sonno. E rimarrebbero volentieri a letto. E segretamente sperano che questa specie di infante palestinese riesca a intrufolarsi in casa eludendo cani e allarmi. Del resto, se mi è figlio di falegname, magari ha dimestichezza con lo scasso dei serramenti. Tutti i padri hanno una loro logica altrettanto ingarbugliata a cui la notte del 24 abdicherebbero volentieri.
Perché se una volta, una soltanto, si alzassero e scendendo trovassero davvero i pacchetti sotto l’albero, non si chiederebbero come sia stato possibile. Accetterebbero anche loro di lasciarsi ingannare da questa bugia, più vera di tanti discorsi verosimili che occupano le nostre giornate vuote senza mai riuscire davvero a riempirle.
Tutti i padri sono stati bambini e una notte all’anno ricevono il dono di poterlo ritornare.
Tutti i padri sono bambini.
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