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don lorenzo milani

QUANTO HA INVESTITO LO STATO ITALIANO SUGLI STUDENTI CHE “MATURANO” IN QUESTI GIORNI

Centosettemilaseicentotrenta euro e cinque centesimi: se facciamo riferimento al “costo medio studente” pubblicato con la nota 9515 del 2021, a sua volta emanazione del DM 61/2021, è questo l’investimento che lo Stato Italiano, cioè tutti noi, ha fatto per gli studenti che in questi giorni concludono gli esami di cosiddetta maturità.

Vale a dire 6.027,50 € per tre anni di scuola dell’Infanzia, più 6.288,68 € per ciascun anno di Scuola Primaria, più 6.915,55 € per ciascun anno di scuola secondaria di primo grado (auspicabilmente solo tre, ma può capitare anche un anno in più), più 7.471,5 € per ciascuno degli anni di Istruzione Secondaria di Secondo grado (per arrotondamento ne ho contati cinque). Per fare cifra tonda potremmo anche aggiungere il costo per ogni singola commissione d’esame ma è poca cosa rispetto al totale. Anche immaginando che molti ragazzi abbiano frequentato una scuola dell’infanzia paritaria, stiamo sempre parlando di una cifra totale di novantamila euro.


Sono un sacco di soldi. Sono stati spesi bene?

Ne parlavo oggi, con i colleghi della Commissione, a margine di un po’ di colloqui e di qualche fatica nella presa di coscienza matura dei temi di Educazione Civica – absit iniuria verbis –, e tentavamo di riflettere se e come questo importante investimento della collettività sui nostri giovani abbia dato effettivamente frutti tali da giustificarlo.

Si dirà che in quanto servizio pubblico la cartina di tornasole per valutare l’efficacia e l’efficienza del sistema scuola non può né deve sottostare a logiche aziendali di ritorno dell’investimento in termini di produttività. Ma l’ordine di grandezza di questa cifra – 107.630,05 € – è tale da imporre più di una riflessione sui metodi e sul paradigma stesso della nostra scuola.

Se è vero che esiste e va tutelato un diritto al successo formativo, è altrettanto vero che, a fronte di un investimento importante che la collettività compie su ciascuno studente, occorrerà anche ribadire l’esistenza del dovere di onorare questo investimento. Nei modi, con i tempi e con i talenti di ciascuno. E un dovere da parte dei professionisti della scuola di custodire questo investimento, di curare l’efficienza dei processi di educazione e formazione, perché questa enormità di risorse economiche non vada sprecata.

Sento parlare al colloquio gli studenti mentre raccontano di come le esperienze di PCTO abbiano loro insegnato “il rispetto”, il “lavoro di squadra”, “il rispetto degli orari”, “la capacità di utilizzare abilità di provenienza diversa per svolgere compiti complessi” e mi cadono le braccia. Non perché siano competenze sbagliate: tutt’altro! Ma perché quasi tutti le ricavano dal racconto di queste esperienze al di fuori della scuola. Occorre l’alternanza scuola-lavoro per insegnare il rispetto, la puntualità e tutto il resto? Li scoprono negli stage di PCTO del triennio? Cosa abbiamo fatto noi insegnanti per i tredici anni precedenti?

Abbiamo spiegato Dante, le derivate, Giolitti, l’aoristo passivo, gli articoli della Costituzione, fatto verifiche formative, sommative, di recupero, programmate, personalizzate, facilitate. Davvero la collettività ha investito centomila euro a testa su ciascuno di questi studenti perché noi le riconsegnassimo teste piene di nozioni? Non piuttosto per formare dei cittadini maturi, capaci di pensare, agire, sognare, non raccontarci il passato di date, testi, fatti, battaglie, ma progettare il futuro?

Non oso pensare a quali frutti prelibati riuscirebbe a ricavare un contadino se avesse a disposizione centomila euro in sedici anni per ogni albero del suo terreno! Quali frutti sta dando la scuola italiana in questo Esame di Stato 2023 che si consuma con la solita ceralaccata liturgia?

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