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"Avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. 

Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Non porsi limiti di tempo"

don lorenzo milani

Immagine del redattoreStefano Motta

PEDALARE DENTRO I BORDI

Ci fu un tempo in cui l’età ancora mi arrideva facendo rima con -enta e anche le pendenze mi sorridevano, in doppia cifra. Ci fu un tempo in cui le tappe della mia sgambata domenicale si chiamavano Civiglio, Bisbino, Ghisallo, Valcava, Pian del Tivano. Di quel tempo conservo le cosce muscolose che fanno impazzire il mio sarto quando deve tagliarmi i pantaloni, il lato b ancora dignitosamente tornito che fa impazzire… (vabbè, lasciamo perdere), e la fame inesausta di strada.

Oggi le mie tappe sono state Seregno, Cesano Maderno, Bovisio Masciago, Varedo, Nova, Muggiò, Lissone e via da capo, come un criceto nella ruota, come un bambino che unisce i puntini in un gioco di enigmistica.

Nonostante gli -anta possano ancora spingermi su per le colline briantine, tanto mi concedeva oggi il DPCM: pedalare entro i confini della mia città.


Ho preso la mountain bike, che la bici in carbonio con appendici da triathlon mi pareva eccessiva, e sono uscito comunque, gironzolando agli estremi confini della città in cui vivo, là dove gli stradoni solitamente percorsi da frotte di pendolari in entrata e in uscita oggi erano deserti, e potevi zigzagarci, come facevo rimontando le erte del Cornizzolo, ma lì perché la pendenza supera il 18% e se non zigzago mi ribalto. Oggi zigzagavo come un ciclista principiante e indisciplinato, fino a dove mi era concesso spingermi. E poi dietrofront.

Sono partito arrabbiato per queste costrizioni. Sono tornato sudato e ugualmente svuotato come se mi fossi spinto almeno fino in cima a Montevecchia. Ho imparato queste cose:

  • che quando vado in pensione compro casa a Canazei, così al prossimo lockdown posso almeno fare il Pordoi, il Sella o il Fedaia;

  • che andare in bici è comunque e sempre un piacere, anche quando la strada è piatta, ma le curve sono necessarie perché il piacere sia pieno;

  • che nella città in cui vivo non mancano le piste ciclabili, ma sono ingarbugliate e spezzettate senza criterio, come se un gatto avesse affondato le zampe in un gomitolo;

  • che non c’è una salita una;

  • che dovunque mi trovassi riuscivo a intravedere due cose: la cupola della Basilica, come fosse “er cupolone de noantri” meno pretenzioso di S. Pietro ma ugualmente affascinante, e lo scheletro di quell’orrendo tentativo di grattacielo che ancora si innalza incompiuto e abbrutito sopra la stazione;

  • che anche in mountain bike le rotaie del tram inutilizzate ma ancora esistenti sono pericolose;

  • che di qualunque colore sia, chi si presenta alle prossime elezioni amministrative e dimostra di essere capace di abbattere ‘sto grattacielo e togliere le rotaie del tram, io lo voto. Se mi crea anche una salita al 12%, gli faccio anche da addetto stampa gratis;

  • che stare nei bordi è difficile: sia quando sei un bambino e devi colorare i disegni, sia quanto sei un professionista e la deontologia ti pone dei limiti, sia quando sei un cittadino e la legge ti impone degli obblighi, sia quando pedali e la topografia ti traccia dei confini.

Ci fu un tempo e c'è ancora in cui non importa la meta: se pedali col cuore libero, non è la strada a fare te ma sei tu a fare la strada, e persino lo stradone deserto verso Milano può essere il Pordoi, se il cielo lo porti dentro.


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