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"Avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. 

Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Non porsi limiti di tempo"

don lorenzo milani

Immagine del redattoreStefano Motta

L'effetto nocebo delle parole sbagliate

Quando ero piccolo e millantavo qualche piccolo malessere la mamma mi dava la zigulì, spacciandola per una qualche pasticca miracolosa, e ricordo che stavo già meglio al solo vedere la scatoletta. Perché ci sono medicine che non hanno alcun effetto né sul sintomo né sulla causa di un qualche malessere. Ce l'hanno sull'umore, e non è detto che non siano più efficaci delle altre, talora. Gli studiosi lo chiamano "effetto placebo", e serve nei trial clinici per creare un gruppo di controllo che permetta ai ricercatori di discriminare davvero i dati. A tot pazienti si somministra il farmaco da testare, e ad altri semplicemente una soluzione fisiologica: e poi si controllano i dati, per essere sicuri della reale efficacia del trattamento e non farsi fuorviare dalle aspettative. Così funziona la ricerca. È delle scorse ore la notizia proveniente dagli Stati Uniti che - cito da Adnkronos - "anche chi ha ricevuto il placebo nei test sul vaccino covid ha segnalato effetti collaterali. Più di due terzi dei comuni eventi avversi associati al vaccino covid possono essere attribuiti all'effetto 'nocebo', la versione negativa dell'effetto placebo [...]. I ricercatori hanno evidenziato che l'effetto nocebo è stato responsabile del 76% delle comuni reazioni avverse segnalate dopo la prima dose e di quasi il 52% dopo la seconda dose."

E io che maneggio non siringhe ma parole, tutti i giorni, dalla cattedra, dalle pagine dei libri, dalle colonne dei giornali, mi rendo conto che le parole usate male hanno davvero un effetto nocivo. C'è una narrazione apocalittica, oscurantista, sensazionalistica che ha monopolizzato il registro linguistico di molti organi di comunicazione, arrivando a pervadere anche i discorsi più comuni e quotidiani. Non c'è caffè preso al bar che non sia macchiato dalle chiacchiere di altri clienti che parlano di terza dose, tampone molecolare, quarantena e via dicendo. Non c'è rullo di notizie del telegiornale che non apra con questo argomento, che ha fagocitato ogni altra preoccupazione. Davvero esiste solo questo nelle nostre giornate? Davvero a qualcuno interessa quanti giorni è durato il dolore al braccio per l'iniezione? Davvero non ci dà fastidio, mentre siamo seduti a tavola, vedere primi piani di infermieri che infilano tamponi nel naso o nelle fauci spalancate di tizi in coda al drive through? Menomale che si tratta di un virus che colpisce le vie aeree, vien da dire: non oso pensare ai servizi giornalistici sui tamponi quando comparirà una pandemia intestinale, a questo punto.

C'è un virus delle immagini sgradevoli, delle parole pigre, buttate lì con sciatteria, monotone e lamentose, che produce danni, perché contagia e suggestiona. Ci sono fake news così ripetute che divengono verosimili, c'è soprattutto il malanno del "sentito dire" contro il quale non valgono ragione né buon senso. E c'è una cura delle parole scelte con precisione, dette se necessarie, taciute se superflue, che può lenire, se non addirittura guarire. Noi che scriviamo lo dovremmo tenere sempre a mente, perché se l'effetto placebo illude ma non fa guarire, l'effetto nocebo può far ammalare.


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