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"Avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. 

Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Non porsi limiti di tempo"

don lorenzo milani

IN MORTE DI FRANCESCO MAGNI

La notizia della morte di Francesco mi ha raggiunto questa mattina, improvvisa.

Ero a Lecco per lavoro, proprio nella città di quei “Promessi Sposi” che ci hanno fatto incontrare tanti anni fa, e diventare amici. Ho pescato dal cassettino della Mercedes il suo cd in dialetto, “Renzo e Luzia”, e l’ho ascoltato con calma, tornando verso casa lungo la statale 36 a una velocità che persino le betoniere mi sorpassavano.

Mi assalivano i ricordi, di quando a casa sua, nella campagna più remota di Briosco, mi spiegava che le lumache gli mangiavano l’insalata, ma lui non le schiacciava. Le catturava, le metteva in una cassetta e le portava più in basso, lontano dall’orto.

“Ma poi ritornano”, gli dicevo io.

“E io le sposto di nuovo”, mi dice lui. E ha ragione.

Di Francesco ho sempre invidiato il coraggio scanzonato di vivere dell’essenziale e di essere felici di questo.

Oltre all’arte della musica, che l’ha portato a Sanremo e l’ha reso cantore dialettale della nostra terra in un modo che nessun altro emulo di pur maggiore successo ha mai lontanamente sfiorato, l’arte di Francesco era questa facilità.

Tra le molte cose belle che ho fatto con Manzoni e su Manzoni, ricordo la serata con lui e con la sua band all’Auditorium di Merate nella rassegna del “Maggio Manzoniano” che avevo creato con Giusi Spezzaferri, assessore alla Cultura e amica. E anche lei purtroppo non c’è più.


Francesco non era un artista facile da condurre, sempre pronto a una sgroppata imprevista come un cavallo un po’ bizzarro. Ricordo le risate grasse, compiaciute, liberatorie, felici del pubblico in sala, e il silenzio teso quando invece traeva dalla sua chitarra e dalla voce arrochita note che toccavano il cuore.

Lo ricordavo oggi, lasciandomi alle spalle il lago e il Resegone, cantando con lui il pezzo in cui canta l’Addio ai monti di Lucia, dal punto di vista del barcaiolo.

Mi hai traghettato dal mio Manzoni colto, filologico, accademico, al don Lisander terreno, bel pucciato nell’acqua dell’Adda prima ancora di essere risciacquato in Arno, e lì ho trovato le emozioni più intense del mio essere manzonista, scrittore, uomo.

Grazie, Francesco, della tua amicizia e della tua arte.


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