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"Avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. 

Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Non porsi limiti di tempo"

don lorenzo milani

I prati pingui di giugno

I prati di montagna a giugno hanno un colore che in altre stagioni non hanno. Cammino per i declivi ubertosi che digradano verso la nostra “casa alta”, il nostro rifugio montano dalle pastoie nebbiose e grigie della ricca e produttivissima Brianza, e mi perdo a fare foto che tanto so non renderanno l’idea. Mi accompagna lo scampanio festoso di una dozzina di vitelle ancora giovani, che saltano – letteralmente saltano – fior da fiore come fossero api. Un po’ più robuste, forse, ma ugualmente necessarie.

In queste settimane di campane sorde per i culti sospesi, i campanacci di queste giovani mucche golose di fiori ha qualcosa di sacro, persino irrispettoso nel suo frastornante clangore.

Il suono dei prati di giugno non sono ancora i grilli ebbri del sole agostano né gli strilli delle famiglie svaccate sui plaid da picnic. È il goloso scampanio di queste mucche agili, tutt’altro che svaccate – loro – e ingorde. Che se io fossi un erbivoro probabilmente non sarei da meno, perché dire che mangino erba è assai limitante di fronte al caleidoscopio di fiori, ordinatamente disordinati nei prati “grassi” sopra i 1000 metri. Il tarassaco, il giglio martagone, il fiordaliso vedovino, il muscari azzurro, la campanula romboidale, il paleo odoroso, la radichiella pubescente: nomi che profumano già a pronunciarli, nomi colorati, che nelle spiegazioni date ai figli che mi accompagnano diventano "il sole delle mucche", le “stelle fucsia”, le “campanelle blu”, le “margheritone giganti”.

Che la precisione botanica non è necessaria per la poesia.

Anche il mio amico Giacomo in botanica era assai vago, e parlava di “mazzolin di rose e viole”, che forse nemmeno potevano coesistere nella stessa stagione. Ma la donzelletta le coglieva, e si adornava il petto e il crine per fare festa.

Come le mucche, che abbiamo lasciato due tornanti di sentiero fa, e che scampanano che nemmeno a una festa paesana. E mio figlio raccoglie le margheritone ai bordi del sentiero e le porge alla mamma, perché se ne faccia un braccialetto, e a me. A me mi guarda con un sorriso sardonico, perché sa che con me il fascino del braccialetto non attacca. Non vorrà che le mangi, garzoncello scherzoso?

Godi, figlio mio: cotesta tua età fiorita è come un giorno d'allegrezza pieno. Giorno chiaro, sereno, che precorre alla festa di tua vita...


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