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"Avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. 

Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Non porsi limiti di tempo"

don lorenzo milani

Immagine del redattoreStefano Motta

I prati pingui di giugno

I prati di montagna a giugno hanno un colore che in altre stagioni non hanno. Cammino per i declivi ubertosi che digradano verso la nostra “casa alta”, il nostro rifugio montano dalle pastoie nebbiose e grigie della ricca e produttivissima Brianza, e mi perdo a fare foto che tanto so non renderanno l’idea. Mi accompagna lo scampanio festoso di una dozzina di vitelle ancora giovani, che saltano – letteralmente saltano – fior da fiore come fossero api. Un po’ più robuste, forse, ma ugualmente necessarie.

In queste settimane di campane sorde per i culti sospesi, i campanacci di queste giovani mucche golose di fiori ha qualcosa di sacro, persino irrispettoso nel suo frastornante clangore.

Il suono dei prati di giugno non sono ancora i grilli ebbri del sole agostano né gli strilli delle famiglie svaccate sui plaid da picnic. È il goloso scampanio di queste mucche agili, tutt’altro che svaccate – loro – e ingorde. Che se io fossi un erbivoro probabilmente non sarei da meno, perché dire che mangino erba è assai limitante di fronte al caleidoscopio di fiori, ordinatamente disordinati nei prati “grassi” sopra i 1000 metri. Il tarassaco, il giglio martagone, il fiordaliso vedovino, il muscari azzurro, la campanula romboidale, il paleo odoroso, la radichiella pubescente: nomi che profumano già a pronunciarli, nomi colorati, che nelle spiegazioni date ai figli che mi accompagnano diventano "il sole delle mucche", le “stelle fucsia”, le “campanelle blu”, le “margheritone giganti”.

Che la precisione botanica non è necessaria per la poesia.

Anche il mio amico Giacomo in botanica era assai vago, e parlava di “mazzolin di rose e viole”, che forse nemmeno potevano coesistere nella stessa stagione. Ma la donzelletta le coglieva, e si adornava il petto e il crine per fare festa.

Come le mucche, che abbiamo lasciato due tornanti di sentiero fa, e che scampanano che nemmeno a una festa paesana. E mio figlio raccoglie le margheritone ai bordi del sentiero e le porge alla mamma, perché se ne faccia un braccialetto, e a me. A me mi guarda con un sorriso sardonico, perché sa che con me il fascino del braccialetto non attacca. Non vorrà che le mangi, garzoncello scherzoso?

Godi, figlio mio: cotesta tua età fiorita è come un giorno d'allegrezza pieno. Giorno chiaro, sereno, che precorre alla festa di tua vita...


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