Dovevo chiamarmi Battista, in onore alle tradizioni avite. Non ho purtroppo conosciuto i miei nonni: morto giovanissimo il papà della mamma, morto sazio di anni ma prima che io nascessi il nonno paterno, Battista appunto.
Mi chiamo col nome che porto per la testardaggine di mio padre, che non rinnegava il suo, di padre, ma voleva uno Stefano.
Ho conosciuto Felici ombrosi, Bianche con l’incarnato ambrato, Chiare coi capelli nerissimi e Salvatori imbranati. Ho incontrato Beniti mitissimi e Vittorie remissive, Claudii che non zoppicavano e Cesari nati senza parto cesareo, e Lucie bisognose loro di luce, e Letizie che la gioia nemmeno sapevano cosa fosse, e Immacolate dalla condotta di vita piuttosto allegra, diciamo così. Conosco Davidi per nulla piccoli di fronte ai Golia della vita, e Danti abili con tutto fuorché che con la penna, e Franchi bugiardissimi, e Sciàntal che parlano in bergamasco o Ambrogi che dicono “bbuóno”.
“Nomen omen est”, dicevano i latini: il nome è un presagio. In un mondo che credeva che gli astri determinassero le azioni umane (credeva?) non era inverosimile immaginare che un nome potesse non solo descrivere uno status o indicare una provenienza gentilizia, ma anche “inclinare” verso un futuro.
“Stefano” in greco significa “incoronato”, ma non credo che fosse di sassi la corona che il giovane martire aveva sognato per sé. Fu la fede per quel Nazareno incoronato di spine che lo fece cadere, e che ce lo fa ricordare oggi, il giorno dopo il Natale, celebrazione di una morte violenta subito dopo quella di una nascita, testimonianza di una vita che fino all’ultimo ha cercato di essere all’altezza del dono ricevuto.
Ognuno di noi cerca ogni giorno di obbedire alla sua storia, e tenere alto il proprio nome. Non sto parlando del cognome di famiglia, del presunto o supposto “prestigio” dinastico. Nemmeno del prestigio personale, del consenso e della visibilità cercati spasmodicamente nelle moderne piazze dei social. Può non piacere, magari, il nome di battesimo che i nostri genitori hanno scelto per noi, ma è una storia: quella del loro amore e dei nostri anni, della nostra storia singola immersa nella storia più grande di un cognome, di una famiglia, di un tempo complicato come è il nostro e come lo sono tutti.
Non credo che ci siano nomi di cui sia più facile essere degni: “Stefano” è una bella sfida, però. La sfida più grande, per tutti, non è guardare alla storia trascorsa del proprio nome, ma creare la propria, disattendere o ingannare l’etimologia – se serve – per fare di ogni esistenza una storia buona, di ogni nome una poesia.
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