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"Avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. 

Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Non porsi limiti di tempo"

don lorenzo milani

Immagine del redattoreStefano Motta

DUECENTO ANNI, E NON SENTIRLI

Quanto tempo ci vuole a scrivere un capolavoro?

Due anni e mezzo, se dobbiamo fidarci delle date scritte sulla prima e sull’ultima pagina della minuta: dal 24 aprile 1821 al 17 settembre 1823.

Vent’anni e più, se guardiamo alle date della pubblicazione, dalla prima edizione del 1827 a quella definitiva a dispense, detta “Quarantana”, che si conclude nel ’42.

Quando inizia davvero un libro?

Se l’inizio è affare di penna e foglio, allora oggi, 24 aprile 2021, i Promessi Sposi compiono duecento anni esatti.

Ma davvero un libro inizia quando uno scrittore incomincia a scriverlo? O non è forse prima affare di testa e cuore, di ricerche d’archivio, e studi, e chiacchierate con gli amici, e passeggiate, e talento, e dono.

Quando finisce davvero un libro?

Quando uno scrittore ne licenzia le bozze per la stampa? O non continua in realtà a vivere e crescere nelle mani dei lettori, in un’ermeneutica condivisa che ha ancora una forza maieutica e poietica?

Scritta in testa al primo dei bifogli sciolti usati da Manzoni per la prima stesura, quasi di getto nei primissimi capitoli, del romanzo, il 24 aprile è la data simbolica di nascita dei Promessi Sposi.

Il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Nazionale Braidense (http://www.alessandromanzoni.org/manoscritti/624) e costituisce una eccezionale testimonianza, oltre che un perenne rovello per i filologi, del lavorìo di Manzoni. Lo si accosta quasi con pudore, come se si stesse sbirciando da dietro le spalle di Manzoni mentre lo stava vergando.

La moderna tecnologia che tutti noi abbiamo oggi a disposizione ha tarpato le ali a questa filologia d’autore: io inizio, batto le prime righe, poi le cancello, le riscrivo, salvo il file. Domani lo riapro e lo emendo, o lo rifaccio del tutto, sovrascrivendolo, e a meno che un esperto di polizia postale non sia interessato al disco rigido del mio pc per non so quale ragione, delle versioni precedenti del mio scritto si perdono le tracce.

Nessuno saprà quante volte sono inciampato sull’incipit del mio nuovo romanzo, quante volte ho spostato un capitolo prima dell’altro, quante parole ho provato prima di trovare quella giusta.

E mentre guardo da dietro le spalle il mio amico Alessandro, che a 36 anni inizia a scrivere il suo capolavoro, mi chiedo se e quando mai riuscirò ad avvicinarlo nello stile e nella potenza espressiva, io che ormai ne ho 46.

Mi consola vedere che le prime righe del suo manoscritto sono annullate e riscritte, cancellate con una voluta quasi divertita di penna. Non una cancellazione nervosa, ma quasi uno svolazzo, con la leggerezza di chi sa che partire è difficile, che magari parte con il piede sbagliato ma non per questo desiste né si infuria. Scherza con sé stesso e ricomincia. E capisco che il talento sta nella leggerezza di questa iniziale partenza.

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