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"Avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. 

Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Non porsi limiti di tempo"

don lorenzo milani

CINQUE REGOLE DA DON MILANI PER UN BUON TEMA DI MATURITÀ



Cent’anni fa nasceva don Lorenzo Milani. La sua figura e la sua opera sono state, quest’anno, citate un po’ dappertutto, rilette con nostalgia o utopia, confrontate con l’attuale modo di fare e vivere la scuola.

Se crediamo al “tototracce” per la prima prova scritta di Maturità anche il suo nome pare tra i più gettonati, insieme a Manzoni e Calvino, gli altri di cui quest’anno ricorre un anniversario. Poi il Ministero ci spiazzerà – speriamo! – ma don Lorenzo c’entra eccome col tema di domani.

Che dobbiate o no parlare di lui, cari studenti, quello che voglio suggerirvi è di scrivere come lui consigliava di fare. Ne parlava nel suo testo più famoso, quella Lettera a una professoressa nella quale sosteneva convintamente che la scrittura, come ogni altra arte, può essere insegnata. Attraverso una tecnica “piccina”, persino risibile, ma efficace e modernissima.

La descriveva così:


1.

“Per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene un’idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola.”


Oggi noi chiameremmo questa procedura “brainstorming”, ed è la prima cosa che anche io vi suggerisco di fare, una volta lette le tracce ministeriali che vi verranno consegnate. Buttate giù alla rinfusa le idee che esse vi fanno nascere. Fatelo senza cercare necessariamente un filo logico. Anzi: non inseguitelo per niente.


2.

“Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo. Si passano a uno a uno per scartare i doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in grandi monti e son capitoli. Ogni capitolo si divide in monticini e son paragrafi. Ora si prova a dare un nome a ogni paragrafo. Se non si riesce vuol dire che non contiene nulla o che contiene troppe cose. Qualche paragrafo sparisce. Qualcuno diventa due. Coi nomi dei paragrafi si discute l’ordine logico finché nasce uno schema. Con lo schema si riordinano i monticini.”


È la fase della costruzione della scaletta. Non credete a quelli che vi dicono che “il testo nasce da sé”, agli scrittori che millantano che “i personaggi hanno incominciato a vivere di vita propria sotto la mia penna e io assistevo alla loro crescita senza sapere cosa avrebbero fatto alla pagina successiva”. Mentono. Lo dicono alla fine del romanzo, per farsi belli col pubblico delle adoranti cacciatrici di autografi. Ve lo dico da scrittore: non è così. La scrittura è una tecnica, oltre che un’arte, e ha le sue fasi. Avete sei ore per il tema di maturità: non abbiate fretta. Fate la scaletta: un buon tema (come un buon romanzo) si incomincia a leggere se l’incipit cattura ma si ricorda per il finale. Quando iniziate a scrivere la prima parola abbiate bene in mente quale sarà l’ultima. Se non lo sapete ancora, rifate la scaletta.

3.

Si prende il primo monticino, si stendono sul tavolo i suoi foglietti e se ne trova l’ordine. Ora si butta giù il testo come viene viene. Si ciclostila per averlo davanti tutti eguale. Poi forbici, colla e matite colorate. Si butta tutto all’aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila un’altra volta.


È la prima stesura, la “minuta” o la “brutta”, come volete chiamarla. “Brutta” è un bel nome, perché rivela l’istinto, la fretta, la forza anche un po’ rabbiosa della scrittura, della penna che preme, che sbava, che rimane sospesa in aria, in bocca, che poi tormenta il foglio cancellando e tirando grosse righe. È così la prima volta che un testo nasce: un po’ un tormento. Non si fa la “brutta” a mente come i calcoli astratti della matematica. Non credete a quelli che dicono “io la brutta non l’ho mai fatta”. O mentono o non diventeranno mai dei grandi scrittori. Andate a guardare i manoscritti di Petrarca, di Ariosto, di Leopardi, di Manzoni – per citare quelli sul cui lavorìo sono stati scritti gli studi più interessanti – e li vedrete tormentati da cancellature, revisioni, correzioni. Così nascono i capolavori.


4.

Comincia la gara a chi scopre parole da levare, aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo lunghe, due concetti in una frase sola.


Se andate a controllare i manoscritti che vi dicevo, scoprirete che la versione finale dei capolavori di questi scrittori è sempre più breve della prima redazione. L’arte della scrittura assomiglia più alla scultura che alla pittura: non è aggiungere sfumature ma togliere le parti in eccesso. Via gli aggettivi ridondanti ovverosia pleonastici, via gli avverbi sostanzialmente ed effettivamente inutili, via le allitterazioni, le similitudini troppo lunghe, gli intercalari. Lo strumento più pericoloso al tema di maturità è il Dizionario dei sinonimi: “prof., cerco un sinonimo per evitare una ripetizione”. Appunto. L’hai già detta quella cosa: fai un passo avanti e dinne un’altra. Non è cambiando le parole che rendi non monotono il testo. Anzi: diventi lezioso, cioè palloso. Che è la morte di ogni tema.


5.

Si chiama un estraneo dopo l’altro. Si bada che non siano stati troppo a scuola. Gli si fa leggere ad alta voce. Si guarda se hanno inteso quello che volevamo dire. Si accettano i loro consigli purché siano per la chiarezza. Si rifiutano i consigli di prudenza.


Questa cosa non la potete fare al tema della maturità: dovete ingegnarvi in qualche modo come se. Ma rileggere ad alta voce è importantissimo. O comunque rileggervi come se non foste voi ad aver scritto quel testo. Come se vi leggesse un estraneo che non vi conosce, che non ha seguito le vostre stesse lezioni, che non ha letto i vostri stessi libri: questa cosa vi salva dalla presupposizione di chi dà per scontato che chi legge sa già (e forse meglio di voi) quello che cui state parlando. Per questo ogni tanto i vostri temi sono poco chiari, perché dite a voi stessi “tanto il prof sa già quello che voglio dirgli”. Siate chiari, piuttosto didascalici che criptici. Soprattutto siate coraggiosi: non togliete un’idea perché avete paura che potrebbe essere letta male. Non vi si giudica per le idee ma per come le sapete scrivere. E le cose più belle da leggere sono solitamente quelle meno banali.


6.

Dopo che s’è fatta tutta questa fatica, seguendo regole che valgono per tutti, si trova sempre l’intellettuale cretino che sentenzia: ‘Questa lettera ha uno stile personalissimo’.


“L’intellettuale cretino” in teoria potrei essere io e tutti i colleghi che domani correggeranno i vostri temi. Nella mia carriera di insegnante ho letto migliaia di vostri temi, e sbadigliato altrettante migliaia di volte: ecco, dovete evitare che questo succeda! Se mi svesto dai panni di professore e conservo quelli di scrittore vi dico che ogni volta in cui licenzio un mio romanzo per la stampa mi chiedo se ne sia valsa la pena, per me, di perderci tutti quei mesi a scriverlo. E se ne varrà, per il lettore, di spendere soldi e perdere giorni a leggerlo. Per questo cerco sempre di scrivere cose che siano necessarie, per me o per gli altri, cose che non siano già state dette da altri o sulle quali credo di avere qualcosa di nuovo da dire, o che credo di poter scrivere meglio. Si scrive per essere utili, a sé e al mondo, non per prendere 20 alla prima prova di maturità. Se scrivi con questo obiettivo non lo raggiungerai. La regola che sintetizza quello che ti ho detto finora, la più importante, è che per scrivere bisogna “aver qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti.”

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