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che sia

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"Avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. 

Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Non porsi limiti di tempo"

don lorenzo milani

Ammobiliare il mondo

Racconta Umberto Eco, e finalmente le si possono ammirare nella nuova edizione del Nome della rosa per la Nave di Teseo, di come avesse disegnato le piantine della sua abbazia e di quanto le consultasse, per avere il giusto ritmo della narrazione, per far durare una passeggiata il tempo giusto che occorreva per andare dal refettorio al chiostro, senza gli effetti di slow-motion dei film alla John Woo o le distorsioni del campo di calcio dove giocano Holly e Benji che bisognerebbe mostrarlo ai terrapiattisti come prova provata della sfericità della Terra.

Amo raccontare questo aneddoto quando tengo i miei seminari su Manzoni, dicendo che lo spazio è il primo protagonista del romanzo, che l'ambientazione lacustre non è indifferente ma il lago di Como è diverso dal lago di Garda, e il ramo di Lecco diverso da quello di Como, e che per uno scrittore definire in modo preciso l'ambientazione spaziale ha un valore doppio: di costrizione e di ispirazione. Perché porta con sé alcuni vincoli, naturalmente, ma è essa stessa generatrice di possibilità narrative. E aiuta a non perdersi.

La mia passione per le mappe nasce dalle letture clandestine di Tolkien con la pila sotto le coperte, e dagli occhi stanchi persi tra i meandri di Bosco Atro e nelle Montagne Nebbiose di quella splendida mappa in fondo al tomo immenso del Signore degli anelli. Mappa che soffriva del morbo dei bugiardini e di altri foglietti simili, che quando li apri poi non sai più ripiegarli come lo erano in origine.

E cresce con i romanzi gialli, e la voglia di fare a gara con l'investigatore (o con l'autore), ricostruendo da par mio indizi e spostamenti dei protagonisti, disegnando su foglietti sparsi strade, mappe, piantine delle case dove erano stati commessi i crimini del caso. Si sviluppa sul tabellone del Risiko, anche. E del Cluedo.

E riemerge, come un torrente carsico, ogni volta in cui inizio un nuovo romanzo. C'è la fase dell'idea germinale. Poi scrivo l'incipit. Poi scrivo il finale. Poi incomincio a comperare libri, far ammattire le mie bibliotecarie per recuperare titoli dispersi in Culandia, far felice amazon acquistandone altri ancor più lontani. E li leggo. Poi vado in bici, per un po' di giorni, per far sedimentare tutto il polverone di materiale.

E poi prendo matite e pastelli e disegno.

Disegno la piantina dei luoghi dove si muoveranno i miei protagonisti. Lo so che ne esistono di già fatte, lo so che esiste Google Earth, ma quel mondo non è mio finché non lo disegno.

E poi si riparte a scrivere.

Appena uscito in libreria Le armi dei vinti passo dalla Galizia assolata e dai pendii di Roncisvalle ad altre creste erbose fulminate dal sole e dalla guerra: quest'estate la passo sul Grappa. In compagnia di chi, si vedrà a libro finito.

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