LICENZA DI SOPRAVVIVERE
"Forse non sono stato un bravo attore, ma avessi fatto altro avrei sicuramente fatto peggio". Sembra che di sé stesso dicesse così Sean Connery.
Forse il segreto dell'immortalità sta nella libertà, e nell'incoscienza. Nel sapersi costruire un ruolo dopo che si è stati estromessi da una posizione di comoda rendita, o nel desiderare per primi di affrancarsi dal ruolo in cui si rischiava di rimanere imprigionati.
Forse, quando si smette lo smoking e la licenza di uccidere sarà difficile vestire in un altro film un tuxedo senza incorrere nel rischio di scimmiottare il primo ruolo. Sicuramente per chi verrà dopo di te sarà impossibile vestire i panni che sono stati tuoi senza doversi confrontare con la tua impronta.
Forse ci sono personaggi resi grandi dal loro ruolo. Sicuramente ci sono ruoli resi indimenticabili dai personaggi che li hanno indossati.

Quando spiego i grandi scrittori ai miei studenti - e per contare quelli davvero grandi bastano le dita delle mani - dico sempre loro di guardarsi dalle etichette scolastiche: Manzoni non è "un romantico", per stare a uno dei grandi delle nostre parti. Manzoni è più grande del Romanticismo: è Manzoni. Montale non è "un esponente dell'ermetismo". Montale è Montale.
Sean Connery non è "il primo James Bond". È il mentore di Christopher Lambert in Higlander, è Jimmy Malone e Marko Ramius, è Riccardo Cuor di Leone e Guglielmo di Baskerville. E nonostante io idolatri quell'azzimato sciupafemmine di Pierce Brosnan, Bond è Sean Connery, e non viceversa.
L'ho molto amato in due ruoli, e ognuno di noi avrà i suoi preferiti. Io conosco a memoria le battute del suo "Professor Jones", padre imbranato dell'avventuriero Indiana. Solo un grande come Connery poteva passare dalla Walther PPK di 007 all'ombrello con cui fa sollevare in volo i gabbiani nel film di Spielberg.

Forse il ruolo che sento a me più vicino è quello che ha interpretato nello splendido film di Gus Van Sant Scoprendo Forrester. Un Salinger col volto di Bond, uno scrittore assurto a un successo repentino e planetario e poi ritiratosi in una solitudine scorbutica e classista, dentro cui irrompe la vitalità sfrontata di un giovane talento, un ragazzo di colore, cui il vecchio Forrester accetta di fare da maestro e da mentore. Non saprei trarre una frase emblematica dal film, perché tutta la storia si dipana con rabbiosa delicatezza: la guardino coloro che hanno perso fiducia nella scuola; la guardino quelli che amano scrivere e ancor più quelli che amano leggere, quelli che pensano che uno scrittore sia una star, quelli che pensano che un ragazzo nero del Bronx non potrà mai diventare un bravo studente. La guardino quelli che amano Connery: vi troveranno un eroismo di penna, non di pistola, un tempo che scorre pesante sulla pendola della biblioteca e non sul Rolex Submariner d'ordinanza, la bicicletta al posto dell'Aston Martin DB5 e un altro tipo di carte, non quelle del tavolo da poker su cui si giocano i destini del mondo e le acrobazie dell'alcova dell'agente segreto ma quelle scritte a mano, su una scrivania, nelle quali traspare la vita più vera delle persone.
Sono quei libri che Guglielmo da Baskerville cerca inutilmente di salvare, tra le lacrime, dall'incendio della biblioteca, è quella capacità di sorridere, teorizzata nel secondo libro della "Poetica" di Aristotele e avversata dai monaci dell'abbazia del "Nome della rosa" come dal preside del collegio in cui studia il giovane Jamal Vallace di cui Forrester prende le difese, a renderci davvero immortali.
(Articolo apparso sulle testate del network #Leccoonline #Merateonline e #Casateonline, Domenica 1 novembre 2020)