Ho fatto l’esame di Maturità classica nel 1994. Questa era la traccia del tema che avevo scelto:
"Una nazione dove siano in vigore vari idiomi e la quale aspiri ad avere una lingua comune, trova naturalmente in questa varietà un primo e potente ostacolo al suo intervento. In astratto, il modo di superare un tale ostacolo è ovvio ed evidente: sostituire a quei diversi mezzi di comunicazione d'idee un mezzo unico, il quale, sottentrando a fare nelle singole parti della nazione l'ufizio essenziale che fanno i particolari linguaggi, possa anche soddisfare il bisogno, non così essenziale, senza dubbio, ma rilevantissimo, e d'intendersi gli uomini dell'intera nazione tra di loro, il più pienamente e uniformemente che sia possibile. Ma in Italia, a ottenere un tale intento, si incontra questa tanto singolare quanto dolorosa difficoltà, che il mezzo stesso è in questione; e mentre ci troviamo d'accordo nel volere questa lingua quale poi essa sia, o possa, o deva essere, se ne discuta da 500 anni. Una tale, si direbbe quasi, perpetuità di tentativi inutili potrebbe a prima vista, far credere che la ricerca stessa sia da mettersi, una volta per sempre, nella gran classe di quelle che non hanno riuscita, perché il loro intento è immaginario, e il mezzo che si cerca non vive che nei desideri" (A. Manzoni, Dell'unità della lingua italiana e dei mezzi per diffonderla).
Si analizzi il testo riportato traendone spunto per illustrare, anche attraverso appropriati riferimenti ad altri scritti manzoniani sullo stesso argomento, i seguenti temi: l'importanza della lingua unitaria per il Manzoni; i giudizi espressi dal Manzoni sull'italiano come lingua d'uso e lingua letteraria.
Sono passati ventotto anni da quel mio esame e mi rendo conto che aveva qualcosa di profetico, di divinatorio: ho cambiato molti posti di lavoro, ho ricoperto incarichi di responsabilità, ho scritto ventiquattro libri, ma gira e rigira di una cosa ho sempre finito per occuparmi: di Manzoni.
E anche adesso, mentre gli studenti italiani delle quinte superiori stanno scrivendo il loro tema, io sto lavorando a una mia prossima pubblicazione su Manzoni.
Credo che mi abbia in qualche modo fregato o predestinato quel tema scritto a diciannove anni.
Insegno da troppi anni per non sapere che l’esame di maturità in realtà non certifica un bel niente, non conferisce alcuna “patente di maturità” agli studenti se non sono diventati loro, per conto proprio, donne e uomini maturi.
Nemmeno il voto di maturità serve a un granché, sebbene sembri importantissimo nei giorni immediatamente precedenti o seguenti l’esame.
Anche il fascino di un rito di passaggio quasi antropologico si è ormai stinto, facilitato da procedure sempre più concilianti, pantomime su tesine preconfezionate al colloquio, commissioni zerbino.
Se devo guardare alla mia vita, però, mi sorprende questa coincidenza manzoniana: mi rendo conto che, se non certifica pienamente la passata carriera di studi di un ragazzo, sicuramente l’esame di maturità orienta alcune sue scelte future.
Lo fa in modo sibillino, forse, casuale, profetico. Ma lo fa.
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